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Il piatto piange ? No, a Venezia il piatto da frito’e ride !

Ho scoperto dei piatti che mettono allegria. Al tavolo verde il piatto piange quando è vuoto.

A Venezia invece il piatto, anche quando è vuoto, ride.

Ride e trasmette gioia di vivere.   

I piatti da frito’e sono piatti di ottone lavorato a sbalzo (repoussé), martellati sul retro per creare una figura in rilievo sul davanti. Erano usati solo per le frito’e, frittelle che nel ‘700 furono proclamate “Dolce nazionale della Repubblica Serenissima”.

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Leggo e trascrivo : “Evoluzione della zelabia arabo-persiana, fatta conoscere ai veneziani da Giambonino da Cremona,

la fritola era il capolavoro dei fritoleri.

Impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerla con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi. A cottura avvenuta, le frittelle venivano esposte su piatti di stagno, ottone o peltro variamente e riccamente decorati : sono i piatti da frito’e !

fritoleri

 

 

I ‘fritoleri’ erano talmente importanti da essere riuniti in Corporazione nel ‘600. Per avere il permesso di friggere all’aperto l’Arte dei fritoleri stanziava una somma altissima. Si tramandavano il mestiere di padre in figlio : erano i notai del fritto, insomma. Veri e propri “maestri pasticcieri” se ne andavano per le calli o nei campi o lavoravano dentro baracche di legno.

 

corporazione

 

La forma dei piatti da fritoe nasce dai classici “elemosinieri” o “piatti per questua” gestiti in ogni Chiesa dal sacrestano.
E nasce anche dai ‘vassoi da parata’, che ornavano le tavole dei ricchi e le pareti di cucine e sale da pranzo di un tempo.

Però i piatti da frito’e hanno una vita diversa dagli altri piatti : più breve e infinitamente più allegra.

Vita più breve perché la pasta delle frito’e veniva fritta nello strutto di maiale; faceva quindi parte
dei piatti proibiti dalle disposizioni ecclesiastiche nei periodi in cui  bisognava astenersi dalle carni,
come la Quaresima e l’Avvento. Vita più allegra perché erano destinati ad accogliere e quindi ad offrirti le frito’e.

 

leone

 

Oggi a noi va molto peggio. Il classico Tònolo, il Nono Colussi con la sua dolcissima nessa,

Marco, papà dei ‘Mamelucchi’e il mitico Rizzardini le frito’e le propongono solo nel periodo di Carnevale.

E persino in quei pochi fortunati giorni dell’anno, in cui i valori di glicemia e colesterolo

toccano picchi irriferibili, spesso quando arrivi da loro con l’acquolina in bocca ti senti dire :

“Xè finìe, ciò. Me spiase”. Non potrebbero friggerne un po’ di più ? No, non possono.

 

uva

 

 

Le frito’e classiche, le “veneziane” sono senza ripieno. Poi ci sono le frito’e alla crema.
E poi, meraviglia delle meraviglie, ci sono le frito’e allo zabaglione. Non saranno ‘classiche, ma sono una libidine.
E in più le frito’e allo zabaione raccontano una storia d’amore.

 

Leggo e copio dal prezioso testo di Paolo Nequinio sul sito “Il cassetto dei ricordi” (http://www.ilcassettodeiricordi.it/)

“… a Venezia il 2 di febbraio, festa della Presentazione di Gesù al Tempio, chiamata popolarmente “Festa della Candelora”, parecchi secoli fa un Doge che aveva a cuore le sorti della città decise di istituire la” Festa delle Marie”.

 

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La festa consisteva nell’offrire il matrimonio a 12 fanciulle scelte tra la popolazione più povera :

due ragazze per ognuno dei 6 quartieri (sestieri) della città. Si assicurava una ricca dote per ogni sposa
con l’aiuto del Doge, del governo e di tutta la cittadinanza.

Le Marie con i loro futuri mariti celebravano il matrimonio nella chiesa di san Pietro di Castello …

 

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… subito dopo in corteo erano invitate a Palazzo Ducale per partecipare ad un sontuoso banchetto … infine venivano ospitate nel Palazzo per far vivere a queste coppie di popolani una “prima notte di nozze” indimenticabile, una notte da sogno.

Appena celebrato il matrimonio delle dodici coppie e poco prima dell’ingresso a Palazzo Ducale,

gli amici consegnavano agli sposini un bottiglione di zabaione …

 

zabaglione

 

Perché proprio lo zabaione ?

Perché gli antichi consideravano questa bevanda un ottimo ricostituente

e ben sapevano che le fatiche del talamo sono sempre molto intense, impegnative e sfiancanti.

 

Una notte di un anno che non so, un fritoler si dimostrò degno del Conte Mascetti
e del Professor Sassaroli che nel mitico film “Amici miei” sentenziano :
“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”.

 

E’ la notte del 2 Febbraio di un anno qualsiasi e un pasticciere veneziano
proprio lui, il fritolèr è uno dei novelli sposi : ha appena lasciato la sposina
ancora addormentata a Palazzo per recarsi a preparare la pasta per il giorno successivo.
Ma è stremato perché certo non si è risparmiato nella sua prima notte d’amore.

Un attimo : mentre da sempre la classica frito’a veneziana è vuota, senza alcun ripieno,

lui decide di “zavajare” una frittella e ci inserisce dentro un poco di zabaione.

La frito’a alla zabaione è così nata !

 

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Mi scrive un carissimo amico antiquario, vero maestro, molto colto e molto caustico :
“Antico piatto da fritoe : valore mercantile ? Ad libitum. In pratica : qualsiasi cifra ti diano, va sempre bene.
Valenza culturale ? Nulla.”

 

Valenza culturale nulla ? ! ?

 

Eppure questi piatti a me danno gioia, mi mettono allegria. Li guardo, li ascolto e mi parlano.

 

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Un castello turrito e merlato che attende l’arrivo di Lancillotto. Ginevra si fa bella.

 

 

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Un Doge incazzato e piuttosto depresso. Si sta chiedendo : dove cavolo ho messo il mio Prozac ?

 

 

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Un Cinema Imperiale, ricordo malinconico di quando a Venezia c’erano 18 (diciotto) sale invece delle 2 (due) di oggi.

 

 

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Un Leone di San Marco, molto dubbioso per esserci lasciato convincere a indossare una parrucca.

 

 

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La straordinaria invenzione visiva di una gondola

che spunta sotto l’arco del Ponte di Rialto, proprio qui, a pochi metri da casa.

Ecco, proprio loro : i miei piatti che ridono !

 

Insomma, questa gioia, questa infantile allegria saranno un valore, se non culturale,
quantomeno esistenziale ? Per me, sì. Credo. Anzi, so.

 

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