C’è poesia anche in una palla di merda.

Protagonista di questa storia è un insetto.
Un insetto mitico che milioni di uomini hanno venerato come un dio.

scientifico

Non è proprio uno scarafaggio, però non è nemmeno un animale simpatico.
Non è dolce come un cerbiatto : non è Bambi. Non è acrobatico come un gabbiano :
non è Jonathan Livingstone. Anche lui come Lassie torna sempre a casa :
a casa sua però, non da te. Non è nemmeno crudele come una balena bianca : Moby Dick.
Se lo cerchi e lo trovi puoi accarezzarlo e non ci lasci le palle.
Semmai è lui che ci lascia la palla.

 

Lui è piccolo e brutto e nero. E non è nemmeno nero perché è sporco :
Calimero diventa bianco perché non era nero, era solo sporco.
Lui no : è proprio nero di suo. Nero e felice di esser nero.

E’ piccolo e brutto e nero e come se non bastasse mangia merda,
vive nella merda e trasporta merda.

scientifico

 

Il suo nome scientifico sarebbe “SCARABAEUS SACER”, in italiano “Scarabeo Stercorario”
della famiglia ‘Scarabaeidae Geotrupidae’, insetto coprofago.

‘Coprofago’ : mangia merda di erbivori, trasporta merda da dove l’hanno depositata
fino a casa sua, usa merda come tana e ci nasconde le proprie uova,
così che le larve appena nate si trovano la tavola già apparecchiata e imbandita.

 

Per gli antichi Egizi, lo Scarabeo, “KHEPERER” / KHPR era sacro :
promessa e garanzia di immortalità e di resurrezione dopo la morte,
mentre in vita era un amuleto diffusissimo
che garantiva sempre belle novità e cambiamenti felici :

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uno-maiolica

bluuno-verde

 

 

 

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anello

 

 

Oltre agli antichi Egizi lo Scarabeo ha catturato l’immaginazione delle antiche civiltà di tutto il mondo. Che si trattasse della loro associazione con il Sole e la rinascita in Egitto, dell’amore e della fertilità in Grecia, della protezione contro gli spiriti maligni in Mesopotamia o dell’immortalità in Cina, gli scarabei erano universalmente riconosciuti come simboli potenti e amichevoli.

 

Sarà anche “coprofago” per gli scienziati, ma la Titti di cui è innamorato il Conte Mascetti (Ugo Tognazzi) del film “Amici miei” lo chiamerebbe “merdaiolo”, che è la traduzione fiorentina di “stercorario”.

 

Però piccolo e brutto e nero e merdaiolo lo Scarabeo – e questo non lo sapevi ! –
è un poeta, è un danzatore raffinato e anche un fotografo stellare.
Ha studiato Kant. E fa l’acrobata da circo. Ecco la storia.

 

Lo Scarabeo sospinge verso casa palle di merda secca più grandi di lui.
Però a volte perde la strada. Quando non sa dove andare cosa fa ?

Si arrampica sulla sua palla di merda, guarda le stelle e balla.
Sissignori : si mette a danzare, la “Danza dello Scarabeo” è protagonista di molti film scientifici :

 

https://www.newscientist.com/article/dn21368-why-scarab-beetles-dance-on-a-ball-of-dung/

https://www.youtube.com/watch?v=-MMfqh-QbGY

https://www.youtube.com/watch?v=-MMfqh-QbGY

https://www.youtube.com/watch?v=eosckjQ4mJ0

 

Gene Kelly canta sotto la pioggia ? Lui danza sotto le stelle. E sopra la merda !

In realtà più che ballare lo Scarabeo fotografa.

Fotografa il cielo stellato sopra di lui. Forse ha letto Kant : “Il cielo stellato sopra di me,
la legge morale dentro di me”. Kant ci ha messo anni di studio e un volume di 761 pagine
per arrivare a questa conclusione; lui, lo Scarabeo ci è nato.

 

Nei film si vede benissimo lo Scarabeo che si gira su tutti i lati, guarda in cielo,
trova i suoi punti di riferimento e li registra.

danza

Quando ha trovato le indicazioni stradali o stellari che gli servono, scende dal suo osservatorio (di merda) e riprende il suo cammino.

 

Siccome è un perfezionista, spingere la palla di merda davanti a sé sarebbe troppo poco, troppo semplice, elementare e banale. Allora lui lo fa a marcia indietro :

 

dung-beetledx

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spinge in avanti ma non guarda avanti : guarda dietro !
Come se tu guidassi la tua auto guardando fuori dal lunotto posteriore.

 

Scienziati di varie Università (doverosamente citati nei link qui sopra) hanno scoperto che i punti di riferimento dello Stercorario sono : il Sole, la Luna, alcune stelle, ma soprattutto la Via Lattea.

via-lattea-1

 

Ma per scoprirlo cosa hanno fatto gli scienziati ? Hanno preso lo Stercorario e lo hanno messo con le sue palle di merda non più a cielo aperto, ma nel chiuso di un planetario.

Nel planetario è riprodotto il cielo stellato, ma non il cielo vero : è un cielo artificiale.
Lo Stercorario non ha fatto una piega. E’ salito sul suo osservatorio, ha ballato
un po’ in tutte le direzioni, poi è sceso e si è messo a spingere proprio nella direzione
che gli indica la Via Lattea.

Quella non era la Via Lattea : erano delle lampadine che fanno finta di essere la Via Lattea. Ma dal suo punto di vista – in piedi su una palla di merda – vera o falsa che sia la Via Lattea è sempre una guida sicura.

 

Mille e mille anni dopo lo Stercorario, un signore che faceva molto meglio di me il mio mestiere …

leo

… disse alle migliaia di suoi dipendenti in tutto il mondo : “When you reach for the stars you may not quite get one, but you won’t come up with a handful of mud either.”

“Guarda le stelle ! Cerca di raggiungere le stelle. Cerca di prendere una stella. Forse non la raggiungerai mai. Forse non la prenderai mai. Ma se cerchi di prendere una stella, di certo non ti ritroverai mai con un pugno di fango in mano”.

 

Lo Stercorario fa ancora di più : per amore di una palla di merda secca si trasforma
da insetto piccolo e brutto e nero e merdaiolo in poeta, danzatore raffinato, fotografo stellare e astronomo.

Trasforma in poesia una palla di merda secca.

Credo che in tutto questo ci sia anche una morale per ognuno di noi.
Lascio a te il piacere di scoprirla.
E se non sai che strada prendere, guarda le stelle.

kant

 

Se non sai dove andare, balla.

Se non sai dove guardare, guarda le stelle. Se ti sembra di vivere una vita di merda,
impara a goderti la vita che hai. Tu puoi renderla bella persino se il destino della tua vita fosse – ma non lo è ! – trasportare palle di merda verso una casa di merda

Non so quanto mi resta da vivere. Ma che oggi, dopo 31.039 giorni di vita
io possa scoprire su Facebook lo Stercorario che danza sotto le stelle
è una notizia scientifica così poetica, che mi fa capire che la vita è bella.

Possiamo rendere bella la vita persino nella malinconia di una malattia terminale

francesco-romoli
Basta avere il coraggio (o l’incoscienza) di un umile piccolo e brutto insetto, che quando tutto sembra perduto e lui si è sperduto, alza gli occhi dalla merda al cielo, guarda le stelle e segue la strada che le stelle gli indicano.

 

via-lattea

 

La guida è semplice : Il cielo stellato sopra di te, la legge morale dentro di te.
Vivi ogni giorno, ogni istante, come ti sembra giusto vivere.
Lo fa lo Scarabeo ? Puoi farlo anche tu.

Ascolta lo stesso messaggio ‘live’ – se possibile in piedi, come fece tutto il pubblico
al Madison Square Garden nel 1974 quando Frank Sinatra così riassunse la sua vita :

https://www.youtube.com/watch?v=w019MzRosmk

 

 

10 Responses to “C’è poesia anche in una palla di merda.”

  1. Sinatra My way

    Traduzione del brano My Way (Frank Sinatra),
    tratta dall’album My Way (50th Anniversary Edition)

    https://www.youtube.com/watch?v=w019MzRosmk

    And now, the end is near
    E adesso, la fine è vicina
    And so I face the final curtain
    e così affronterò il sipario finale.
    My friend, I’ll say it clear
    Amico mio, te lo dirò chiaro
    I’ll state my case, of which I’m certain
    dichiarerò la mia storia, e la conosco bene :
    I’ve lived a life that’s full
    ho vissuto una vita piena
    I traveled each and every highway
    ho viaggiato in ogni strada
    And more, much more than this
    e molto, molto altro ancora
    I did it my way
    ho fatto a modo mio.

    Regrets, I’ve had a few
    Rimpianti ? ne ho avuti un po’
    But then again, too few to mention
    ma troppo pochi per raccontarli.
    I did what I had to do
    Ho fatto quello che dovevo fare
    and saw it through without exemption
    e l’ho guardato senza scusarmi
    I planned each charted course
    Ho pianificato ogni progetto
    Each careful step along the byway
    ogni passo attento lungo strade non battute
    And more, much more than this
    e molto molto altro ancora
    I did it my way
    ho fatto a modo mio

    Yes, there were times, I’m sure you knew
    Si, ci sono stati momenti, sono sicuro che tu lo sai
    When I bit off more than I could chew
    quando ho morso più di quanto potessi masticare
    But through it all, when there was doubt
    ma attraverso tutto questo, se c’era il dubbio
    I ate it up and spit it out
    l’ho mangiato e l’ho sputato.
    I faced it all, and I stood tall
    Ho affrontato tutto e sono rimasto a testa alta
    And did it my way
    e ho fatto tutto a modo mio

    I’ve loved, I’ve laughed and cried
    Ho amato, ho riso e ho pianto
    I’ve had my fill, my share of losing
    Ho avuto le mie vincite e la mia parte di perdite
    And now, as tears subside
    E ora, mentre le lacrime si placano
    I find it all so amusing
    trovo che è così divertente
    To think I did all that
    pensare di aver fatto tutto questo
    And may I say, not in a shy way
    E posso dire, non in modo timido
    Oh, no, oh, no, not me
    oh, no, oh, no, non io
    I did it my way
    ho fatto tutto a modo mio

    For what is a man, what has he got ?
    Perché cos’è un uomo, che cos’ha ?
    If not himself, then he has naught
    Se non ha se stesso, allora non ha nulla
    To say the things he truly feels
    Per dire le cose che sente veramente
    And not the words of one who kneels
    e non le parole di uno che si inginocchia
    The record shows I took the blows
    La storia mostra sì, che ho preso colpi
    And did it my way
    ma ho fatto tutto a modo mio

    Yes, it was my way
    Sì, tutto a modo mio.

  2. L’immagine della signora anziana ma giovane dentro è di Francesco Romoli che sto cercando per chiedergli se è d’accordo che io pubblichi la sua creazione.

  3. Sabrina says:

    Ciò che hai scritto, carissimo Franco è bellissimo e sto piangendo. Sento la potenza dei tuoi pensieri e dei tuoi sentimenti.
    La tua ferma volontà generosa di nutrire altre menti, altre anime. Il vero scienziato e il vero poeta, sono coloro che,
    fatta una scoperta, trovata una meraviglia, devono gridarla agli altri: avvisarli di dove sia il tesoro e come raggiungerlo!!
    Conserverò per sempre questo tuo scritto e lo porterò nelle mie lezioni (citando l’autore, cioè Te, ovviamente).
    Sono da sempre affascinata dal “minuscolo” della vita che è sempre l’immenso.
    Fotografo farfalle, insetti “brutti” (in realtà bellissimi), concrezioni saline minuscole, sassi, foglie piccole, il “nulla”…
    Mi perdo nei boschi e “danzo” anch’io. Qualcuno ha detto che guardando il cielo, passa tutto, qualunque pensiero negativo.
    A me, succede anche con le cattedrali boschive, con le loro volte ogivali protese verso l’alto, protettive e sacre, come nelle Gotico Fiorito.
    Il libro “Il fiume della conoscenza” di Oliver Sacks, racchiude perle dell’infinitamente piccolo ma immensamente prezioso.
    Grazie di tutti i Tuoi Pensieri.
    Buon fine settimana e a presto.
    Un abbraccio carissimo a Te e a Giovanna.
    Con Affetto,

  4. Scrive una carissima amica :
    Non ho aperto i film : K. dorme qui profondamente, ma domani lo farò. Che bella storia.
    Una volta, 60 anni fa (ma dico!) ho avuto uno scarabeo nero egiziano in regalo da quel primo marito.
    Aveva un buco passante nel lato di testa e retro di una solida base. Mi piaceva tanto.
    Ricordo che, quando l’ho lasciato, ho aperto un cassetto del mio comodino dove abitava lo Scarabeo e glielo ho ridato.
    Amico caro, persona, ti abbraccio ti ringrazio : proprio stasera sei arrivato e hai messo il puntino dove mancava,
    mentre pensavo a oggi al dottore e non dormivo.
    Come è strano, bellissimo.
    M.

  5. Franco says:

    Ciao Franco mi ha fatto molto piacere il tuo scritto.
    Il tuo bell’intervento su Khpr così scrivevano gli egizi scarabeo, è interessante, lo hai però descritto a volte sull’altare ed altre nella polvere.
    Ho voluto risponderti subito perché era doveroso ad un caro amico, ma ti chiedo di darmi tempo per ampliare il discorso sullo scarabeo perché mi inviti a nozze con l’Egitto…..
    Anni fa mi hanno regalato una piastrina litica sottile sagomata da occhio Udjat, vera, fatta probabilmente da un contadino egizio.
    Mi è caduta e si è rotta
    Mi sono chiesto qual’era la differenza con quello dorato di un faraone.
    Nessuna, per l’egizio era il talismano che nella sua immagine aveva valore.
    Anch’io ora possiedo uno scarabeo odierno che ritengo faccia la sua azione, al di del valore del materiale.
    Il mio te lo allego in foto, l’importante è credere in lui.

  6. Sara Missaglia says:

    Franco carissimo,
    solo tu sei in grado di scrivere una cosa di questo tipo.
    Non solo perché riesci a farmi sorridere immaginando l’esserino che trasporta la sua palla nella tana, ma perché riesci a trovare e a descrivere il bello anche in una situazione apparentemente poco simpatica. Rompi un tabù, ma lo fai da parecchi lustri, senza perdere – fortunatamente – questa buona abitudine.
    Il tuo scritto è pieno di metafore: ci racconti che esiste un sopra e un sotto: dimensioni che, tutto sommato, tendono a assomigliarsi, basta solo guardarle da punti di vista diversi.
    Ci insegni di quanto siamo piccoli di fronte all’immensità dello spazio, eppure forti, anche se soli. L’esserino non chiede aiuto, anche in retromarcia spinge con ostinazione la sua pallina, non importa il tempo che ci metterà. L’importante è il risultato. Narri che anche nei momenti peggiori, quando si è sommersi dal fango, o dalla palta o da qualcos’altro, c’è sempre una via d’uscita, inclusa la danza sotto le stelle: nelle situazioni peggiori un po’ di leggerezza non guasta.
    Abraham Lincoln diceva che “possiamo lamentarci perché i roseti hanno le spine o rallegrarci perché i cespugli spinosi hanno le rose. Dipende dai punti di vista”. 
Con il tuo scritto ci insegni che dipende tutto da come guardi le cose: l’esserino, per quanto bizzarro e a tratti poco gradevole al solo pensiero di avere una tana dove custodisce gelosamente un bel po’ di schifezze, è talmente ostinato e determinato nel suo sporco lavoro, da portarlo a termine. Divertendosi anche.
    E questo vale per te: anche nei momenti più bui c’è comunque una buona stella che riesce a farci sorridere. E a danzare.

    Grazie per questo regalo, ti abbraccio caramente.

    Sara

  7. Sara says:

    Ancora una volta Sara riesce a trovare in un mio scritto molto più di quanto io ci ho scritto.
    E’ questo il bello del dialogo con alcune persone speciali : ti fanno scoprire di essere molto meglio di quello che sai di essere.
    C‘era un antico saluto africano, non ricordo di quale etnia, che diceva :
    “Sono felice di incontrarti perchè quando sono con te mi piaccio di più”.
    Sono felice di incontrarti, Sara.

  8. Sara Missaglia says:

    Onorata ed emozionata delle tue parole.
    Ogni incontro è un riconoscimento: negli altri troviamo sempre un po’ di noi,
    e la cosa non finisce mai di sorprenderci.
    Il bello di una vita “sliding doors”.
    Grazie a te Franco

  9. Correggo il mio commento qui sopra : non era il saluto di una tribù africana,
    ma una forma di saluto di Indios del Cile, che diceva più o meno così :

    Sono contento di incontrarti
    perché quando sono con te
    mi piaccio di più.

    Stamattina, cercando quell’appunto che non trovo,
    ho trovato invece questo link
    che in qualche modo parla di un’altra forma di saluto : “Sawubona”

    https://lamenteemeravigliosa.it/sawubona-saluto-tribu-africana/

    Fra le tribù del Natal, in Sudafrica, il saluto più comune è “Sawubona”.
    Letteralmente significa : “Ti vedo, sei importante per me e ti apprezzo”.

    Si tratta di un modo di guardare nel viso le persone che si incontrano, accettare gli altri come sono,
    con le loro virtù, sfumature e anche con i loro difetti.
    In risposta a “Sawubona” spesso si usa : “Shikoba, che significa : “Allora io esisto per te”.

    “Sawubona”: tutta la mia attenzione è con te, ti vedo e mi permetto di scoprire i tuoi bisogni,
    intravedere le tue paure, approfondire i tuoi errori e accettarli.
    Ti accetto proprio come sei e sei parte di me.

    Nonostante possa sembrare curioso, il termine “Sawubona” ha acquistato importanza
    grazie a un testo di ingegneria e organizzazioni intelligenti.
    Nel suo libro “La quinta disciplina: l’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo”, (1990)
    Peter Senge, professore dell’Università di Stanford, parlava degli Zulu e del loro magnifico modo di interagire e gestire i problemi.
    Non fu certo un caso se gli Zulu arrivarono a essere una delle civilizzazioni più potenti del continente africano.

    “Sawubona” simbolizza l’importanza di dirigere la propria attenzione all’altra persona.
    Capire la sua realtà senza pregiudizi né rancori. Essere coscienti dei bisogni altrui
    per dare visibilità all’individuo all’interno del gruppo. Permettergli di integrarsi come un pezzo di valore nella propria comunità.

    Nella nostra cultura occidentale, il saluto più comune probabilmente è “Ciao, come stai ?“.
    La maggioranza delle persone utilizza queste parole in modo fugace e senza aspettare una risposta vera e propria.

    Si tratta di un’introduzione a una conversazione, o un modo veloce per non fare brutte figure e concludere velocemente.
    Non ci si guarda quasi mai negli occhi. La vita ci incalza, ci spinge e ci proietta principalmente verso i nostri bisogni.
    Difficilmente ci aiuta a scoprire altri sguardi per intuire bisogni reali.

    Il popolo Zulu, invece, promuove il bisogno di vedere l’altra persona in maniera cosciente e pacata.
    Cerca quell’istante in cui mantenere un contatto visivo rilassato, in cui guardare e vedere.
    Provare e ascoltare. Abbracciare l’anima dell’altra persona, nonostante questa possa essere piena di angoli oscuri e ferite.

    “Sawubona” è una parola che ci permette di far sentire a chi abbiamo davanti la nostra fiducia,
    dare enfasi al fatto che la nostra attenzione è su di lui. Mettere in evidenza
    un desiderio autentico di capire, di prendersi cura dei bisogni, desideri, paure, tristezze, bellezze e virtù altrui.

    A chi non piacerebbe essere visto in questo modo? Sono poche le cose che arricchiscono tanto
    come visualizzare gli altri, dare loro uno spazio, una presenza, una rilevanza nel nostro cuore
    e importanza all’interno del gruppo, della casa, della comunità o dell’organizzazione.

    C’è chi trova una certa somiglianza fra il termine “Sawubona” e “Namastè”, saluto della lingua hindi.

    L’etimologia di “Namastè” nasce dal termine “namas” che significa appunto saluto o reverenza,
    il prefisso “nam” significa infatti inchinarsi, prostrarsi. Il suffisso “te” invece
    è un pronome personale molto simile a quello italiano che significa a te.

    Questo modo di salutare si caratterizza anche per il rituale che lo accompagna,
    cioè di unire le mani verso il petto oppure lo si fa fermando le mani all’altezza del mento o della fronte
    accompagnando questo movimento e il “Namastè” con un inchino.

    Dietro questa parola c’è molto più di un saluto : c’è tutta la cultura indiana
    e il suo modo di confrontarsi agli altri, e di confrontarsi persino con la divinità
    (“Namastè” è infatti il saluto che si fa quando si entra in un tempio).
    Una sorta di annullamento e di sottomissione, un modo per riconoscere
    il divino che abita in ognuno di noi, come un gesto benevolo ed allo stesso tempo di gratitudine.

    Più che semplici saluti, si tratta di modi riverenti per illuminare l’altra persona comunicando interesse, volontà e reciprocità.
    C’è una bellezza immensa in questi gesti così estranei al nostro mondo.
    C’è qualcosa di curativo e addirittura purificatore che può ispirarci nella nostra vita di tutti i giorni.
    Anche in casa al mattino o rientrando la sera, anche in ufficio, anche andando al mercato.

    Chiudo citando da uno splendido volume “Poesia dei popoli primitivi”. Guanda 1956,
    traduzione italiana di Roberto Bazlen del volume “ Dichtungen der Naturwolker” di Eckart v. Sydow (Wien 1935)
    pagina 60 poesia 41 :

    Canto delle stelle

    Algonkin, America del Nord

    Noi siamo le stelle che cantano
    Cantiamo con la nostra luce
    La nostra luce è una voce
    Questo è il canto delle stelle.

    In questo canto è resa stupendamente la vita delle stelle :
    quel tremolìo che notiamo nella loro luce è la loro parola.
    Per questo le stelle ci affascinano pur essendo pura luce : perché quella luce è una voce e ci parla.
    Ci saluta.

  10. Sara Missaglia says:

    Parafrasando Shakespeare, se c’era una stella che danzava, sotto quella sei nato.
    Il tuo scritto dà nutrimento, grazie Franco

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