Elogio del macchinista. Troupe magistra vitae.

 

Si gira in una stupenda location a Nervi. Un belvedere sul mare con una sola panchina sapientemente posizionata per affacciarsi proprio dove il sole tramonta.

Lo spot, di 15 secondi, racconta una storia molto semplice : due teen-ager sulla panchina ad ammirare il tramonto. Tutto molto romantico. Però il ragazzino è anche molto timido. Non osa dichiararsi, non osa passare il braccio sulla spalla di lei. Non osa nemmeno prenderle la mano. Non spiccica una parola. Alla fine però troverà il coraggio di offrirle ….

una lattina di Aranciata San Pellegrino.

Colonna sonora : “La prima volta” di Giampi Alpiani.

C’era anche una versione della stessa storia d’amore che durava però 30 secondi.

Saggiamente allora, invece che girare un 30 secondi e poi amputarlo a 15 secondi col risultato di non far capire più nulla, saggiamente allora si scriveva una storia per il 30 secondi (lei ha finito le vacanze al mare e torna  con i genitori in città, lui non ha mai avuto per tutta la durata della vacanza il coraggio di dichiararsi… ma adesso lei parte e lui vuole andare in stazione a salutarla, forse a dirle che … ma accidenti è anche in ritardo… il treno sta già partendo … lui sbuca di corsa dal sottopassaggio, corre sul marciapiede fino alla carrozza dove lei è affacciata al finestrino e le dà …. Le dà una lattina di Aranciata San Pellegrino … per un attimo lei è delusa, si aspettava qualcosa di molto più romantico che non una lattina di soft drink ….  quando il treno è oramai in moto, lui è scomparso dalla vista, lei fa per aprire svogliatamente la lattina e solo allora (solo allora !!!) scopre che proprio sulla lattina lui ha scritto : “Ti amo”. Non cercate questo finale nello spot su Youtube : https://www.youtube.com/watch?v=L1aw5XnZ76k

spot 1spot 2spot 3spot 4

Questo finale era previsto nello script, era previsto anche nello shooting-board, ma alla fine per montare le inquadrature del ragazzino che arriva in bici alla stazione, venne modificato il montaggio, con il risultato di perdere il piccolo importantissimo colpo di scena finale. Nelle mie intenzioni chi vedeva lo spot avrebbe dovuto PRIMA essere deluso, e magari incazzato, per la stupidaggine del ragazzino, che arriva oltretutto in ritardo solo per dare a lei una lattina.  Solo DOPO, a storia d’amore ormai apparentemente fallita, solo dopo doveva arrivare il sorridente capovolgimento che ribaltava la delusione di un finale stupido e telefonato nella sorridente scoperta di una infantile e improvvisata dichiarazione d’amore. La prima volta che, appunto.)

C’era quindi una storia per lo spot da 30 secondi e un’altra storia per lo spot più breve.

Oggi parlo dello spot da 15 secondi. Niente treno, niente stazione, solo una panchina e un tramonto sul mare.

La regia ha scelto di girare tutto lo spot in un’unica inquadratura. Si parte alle spalle dei due ragazzini per godere, aldilà della coppia, il sole che tramonta sul mare. Poi con un carrello circolare si arriva proprio di fronte ai due innamorati per vedere prima la timidezza di lui e infine il gesto di offrire a lei la sua lattina di aranciata. Inevitabile pack-shot finale.

Il regista è inglese, Tony Halton, che ho scelto tra decine di altri registi nel mondo per la sua abilità nel trattare i bambini. Ha già girato dei deliziosi spot ed è una garanzia. Il Direttore della fotografia se l’è portato lui dall’Inghilterra. La Casa di Produzione è il massimo in Italia : la Film Master. Il cast è perfetto : due bimbi adorabili e soprattutto veri. Credibili come protagonisti di una tenera storia di un primo amore.

La troupe viene da Cinecittà.

I minuti buoni per girare saranno pochissimi, non più di 5-7. Gli unici minuti nell’arco di tutte le 24 ore che hanno la magia indefinibile di quella che in gergo si chiama “luce a cavallo”.

Persi quei rapidissimi preziosi minuti, si dovrebbe andare al giorno successivo, con i costi paurosi del fermo di produzione di una troupe di una ventina di persone in trasferta. In più le incognite di riprese in esterno : come sarà il meteo domani ? In alcuni casi si può far passare un’alba per un tramonto, ma non con queste intenzioni di regia. E comunque sarebbe sempre un costoso giorno in più.

Saggiamente si prova in largo anticipo per essere pronti a girare nel momento cruciale.

Il regista vuole questo movimento di macchina : un carrello parte dalle spalle dei bambini, quindi dietro la panchina, per inquadrare il sole quando tramonterà (per ora è alto)… gira morbido attorno alla panchina, quasi ad accarezzare ed abbracciare i due piccioncini, e si arresterà proprio di fronte ai due. In quel preciso momento il ragazzino offrirà a lei la sua lattina.

Sul carrello è montata la macchina da presa (35mm), l’operatore alla macchina, l’assistente ai fuochi e anche il regista che vuole vedere tutto con i suoi occhi (allora il monitor di servizio non usava né ci si fidava troppo).

Tutto questo insieme di cose e persone è montato su un carrello che verrà spinto a mano da un macchinista di Trastevere. Sia pure su rotaie, sono pur sempre alcuni quintali da smuovere, spingere e poi arrestare.

Si fa una prova : … azione !

Il macchinista inizia a spingere, arriva al punto segnato per l’arrivo, si ferma.

Il regista scuote la testa scontento : “Too slow”.

Chevvordì ? Troppo lento.

Una premessa : regista e direttore della fotografia sono inglesi, iper-professionali.

Macchinista, elettricisti e tutta la troupe sono romani. “Italians” con tutto quello che ciò significa all’estero.

Regista inglese scontento del macchinista romano : Troppo lento !

Il macchinista spinge all’indietro il suo carico di quintali fino al punto di partenza.

Facciamo un’altra prova .. azione ! … il macchinista spinge e arriva al punto di arresto.

Il regista è scontento : “Too fast.” Troppo veloce.

Il macchinista abbozza, risospinge al punto di partenza il suo carrello con tutto il suo carico di cose e persone. Poi ha uno scatto d’orgoglio.  E’ la dignità del professionista che gli fa dire :

 

Ahò, e me deve da dì de quanto lo vuole ‘sto cazzo de carrello !

Panico.

In un western sarebbe il momento dello showdown.

Su un set è crisi pura.

Una così scoperta sfida all’autorità costituita è una prova di forza.

Adesso il regista deve dimostrare a tutti di avere l’autorità e l’autorevolezza per dirigere.

Sarà anche un padreterno anglosassone, ma il romanaccio l’ha sfidato.

Tony non è nato ieri e capisce immediatamente cosa è in gioco.

Il Direttore di Produzione non è nato ieri e non solo capisce benissimo cosa è in gioco, ma anche quanto potrebbe venire a costare un eventuale scontro di poteri.

Tutta la troupe, account e creativi d’Agenzia, product manager e dirigenti del Cliente, sarta, costumista, trucco e parrucco, scenografo, segretaria di produzione e forse persino i due innamoratini sentono che è un momento  decisivo, come e forse più del momento in cui il disco del sole si tufferà nell’azzurro del mare.

Nessuno dimentica che l’ora del tramonto si sta avvicinando e quando arriverà, i minuti buoni per girare saranno pochissimi. Sufficienti forse per una ripresa, al massimo per due o tre. Poi sarà notte. In tutti i sensi.

 

Ahò, e me deve da dì de quanto lo vuole ‘sto cazzo de carrello !

Il regista risponde sicuro :  Twelve and half.

Il regista vuole il carello esattamente di dodici secondi e 5 decimi. Gli ultimi due secondi e mezzo dei 15 che ha a disposizione gli servono per il pack-shot finale

C’è stata una sfida, c’è stata una risposta.

Traducono al macchinista : “Il carrello lo vuole di dodici secondi e mezzo”.

Vuol dire che il macchinista dovrà partire da fermo, spingere fluidamente in progressione il suo carico di quintali ed arrivare esattamente al punto di arrivo allo scadere di dodici secondi e mezzo. Non prima, non dopo e nulla a scandirgli lo scorrere del tempo. Né un cronometro né un orologio da polso, che tanto non avrebbe senso controllare. Nessuno che gli scandisce i secondi. Lui, da solo.

Solo la sua sensibilità. La sua esperienza. La sua professionalità.

 

Ooohh, mo se semo capiti.

E da quel momento – non ci crederei io per primo se non l’avessi visto con i miei occhi – da quel momento il macchinista spinge il suo carrello carico di quintali esattamente per i dodici secondi e mezzo che il regista gli ha chiesto, senza sgarrare mai di un decimo di secondo per tutte le prove che regista e il DOP gli chiedono di fare.

Arriva il momento in cui il sole si tuffa nel mare, il regista dà il “Roll… and Action !” per la ripresa vera e propria e con un solo take lo spot è fatto.

Tutti applaudono tutti gli altri.

Bravi gli attori giovanissimi, bravo il regista, bravi tutti.

E per me, dopo più di trent’anni il ricordo di una splendida muta lezione di che cosa significa professionalità. Professionalità di un rozzo macchinista che non parlerà forse inglese, e forse nemmeno italiano, ma conosce il suo mestiere e sa metterlo in pratica con l’eleganza e l’understatement di un Pari d’Inghilterra.

Questo posso dire : sui set di tutto il mondo ho sempre trovato una onestà intellettuale, una generosità ed un rispetto di se stessi, oltre che degli altri, che non ho mai più incontrato in nessun altro ambiente di lavoro o di vita. Oggi voglio dire grazie a tutti questi straordinari professionisti – macchinisti elettricisti operatori assistenti fonici sarte truccatori parrucchieri attori comparse musicisti scenografi producer fonici – per avermi aiutato a lavorare e a crescere come senza di loro mai avrei fatto.

P.S.

Ecco nel disegno di Dario Piana, uno dei più grandi registi, e non solo di spot, tutti quelli che – oltre alla troupe magistra vitae – ci sono su un set, e non dovrebbero, tranne gli ultimi due a destra, proprio esserci :

sul set

 

Ricevo oggi un altro disegno di Dario Piana, mitico regista. E’ dedicato al “Dede”, il principe dei montatori.
Il ritratto di Dede – quasi invisibile perché sommerso da una folla di pazzi, con i suoi larghi occhiali, capelli ricci e sguardo rassegnato – è un gioiello di interpretazione degno di Lorenzo Lotto.
La scena rappresenta il momento successivo a quello delle riprese : la presentazione del film montato.
Per il risultato di un film il montaggio è momento persino più importante del set.
Nella realtà è situazione in cui non solo al montatore, ma persino ai monitor girano letteralmente i …glioni.

dede-al-montaggio

16 Responses to “Elogio del macchinista. Troupe magistra vitae.”

  1. Un altro aneddoto, sullo stesso tema, ma con una diversa angolazione :

    A proposito del fatto che su un set tutti sono ugualmente importanti.
    In Pubblicità negli anni d’oro era molto di moda chiamare a Milano o a Cinecittà registi inglesi e americani. A volte spagnoli.
    Questi professionisti esigevano, ovviamente, il ‘loro’ direttore della fotografia. ”Dop” americano o inglese, una volta anche giapponese.

    Giunto sul set però il DOP forestiero doveva rapportarsi con una troupe (elettricisti, macchinisti, assistenti, aiuti) ‘de Trastevere’
    o comunque non certo poliglotti.
    Ma più che problemi di lingua, c’era a monte un test di fiducia.
    Una prova che il mito d’oltre Manica o oltre Oceano doveva superare.

    La ‘prova’ avveniva di solito silenziosamente nella prima ora di lavoro, mentre si preparava la prima inquadratura.
    Il DOP inevitabilmente prima o poi doveva chiedere a un elettricista qualcosa tipo : “Per favore, mi abbassi di 10 il taglio di destra ?”
    Ed ecco : l’elettricista si arrampica sui praticabili, aggiusta la luce indicata secondo la richiesta del DOP e poi …
    e poi la rimette esattamente dove si trovava prima.
    A quel punto c’erano due seguiti della storia.

    Se il DOP diceva, senza incazzarsi, ma molto serio :
    “OK, abbiamo scherzato. Adesso per favore la sposti per davvero come cazzo ti ho chiesto !!!”,
    allora la fiducia della troupe era definitivamente conquistata.
    Da quel momento lui avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa
    e l’avrebbe ottenuta molto più rapidamente e molto meglio che con qualsiasi altra troupe nel mondo.

    Se invece il DOP diceva : “Ooooh, adesso sì che va bene!” ….
    beh, vorrei essere esentato dal raccontare come procedeva la produzione nelle ore successive.
    Confesso che io non ho mai assistito a questo secondo finale della storia.

    In compenso però mi è stato rivelato il segreto di uno dei più grandi DOP, giunto a Cinecittà dagli Usa.
    Mi confidò un giorno : “Sai come faccio se voglio davvero fregare un regista insopportabile ? Faccio esattamente quello che mi chiede”.

  2. maria says:

    TCiao Franco, complimenti per il sito, veramente notevole il contenuto ! Una curiosita’, hai partecipato anche alle riprese del relativo video musicale del brano di Giampi Alpiani per la Sugar/CGD, che passava a videomusic a quei tempi ? Ciao

  3. Ciao Maria, grazie per il tuo commento. Scrivo e pubblico proprio soltanto per aprire un dialogo. No, non ho partecipato alla reallizzazione del video di Giampi. Allora lavoravo in Young & Rubicam e (purtroppo) non facevamo video-clip. Ma mi sarebbe tanto piaciuto. E mi piacerebbe ancora oggi :-)

  4. Franco Bellino says:

    Altri ricordi del set e considerazioni sul cinema a questo link :

    http://www.francobellino.com/?p=1488#more-1488

  5. renzo barzizza says:

    Bellissimo pezzo, Franco, bellissimo! Mi hai fatto rivivere le tante situazioni che ho vissuto nella mia seconda carriera, quella del produttore di “spot” pubblicitari.
    Sto uscendo; ma ti risponderò per bene al mio ritorno, raccontandoti una vicenda quasi simile ma con un finale da dimenticare. Purtroppo.Il problema è che non si riesce a dimenticare… Protagonista, Ken Nahum, soggetto “Triumph”. In questo caso troupe milanese; e Carlo Sigon come assistente alla regia. A più tardi

  6. Franco Bellino says:

    Quella che Tony Halton cercava per lo spot San Pellegrino da 15 secondi era “la luce a cavallo”.
    Quei pochi minuti subito prima del tramonto che regalano alla fotografia una morbidezza ed una bellezza
    che non si possono ottenere in nessun altro momento della giornata.
    Sulla “luce a cavallo”, in inglese “Magic Time” trovo interessanti
    queste note al capolavoro di Michael Cimino “Heaven’s Gate” (“I cancelli del cielo) :

    Many of the scenes in “Heaven’s Gate” were shot at “Magic Time” which is the brief period of time, around five minutes, between sunset and nightfall, where unique blue tints in the camera image can be achieved. The brevity of “Magic Time” shooting on the film usually allowed only a maximum of three takes before the production would lose the light.

    It is said that Cimino, like David Lean before him, spent days waiting for light and weather to perfectly align, but he was right to do so, for not only is Heaven’s Gate one of the most visually ravishing films ever made but also one in which the beauty of the images is matched by the meaning they carry.
    “This is going to sound corny as hell, but you have to be at one with that place,” says Cimino, who fell in love with the West as a young man and has returned to it time and again in both the films he has made and the many he hasn’t. “The Indians believe all things have spirit — even the hail that comes from the sky is spirit. If you believe that, which I implicitly do, everything is alive. You can have this incredibly gorgeous frame, magically lit, and you get the actors there, and just as you’re ready to roll, a little cloud comes in front of the sun and the shot turns to shit. So you’ve got a choice: Do you shoot it looking utterly mediocre, or do you wait? And the mountain knows you’re looking at your watch. And the mountain says, ‘I’m going to test this joker.’ Because the mountain doesn’t automatically give you its beauty; it sees if you’re equal to it. If you prove that you are, it will allow you to see it.”

    “It’s one of the things that movies do offer you, despite all of their hardships — they offer you moments of transcendence. We all want to experience that in our lives, a moment when we’re two feet off the ground, and making movies gives you that opportunity. It comes and it goes so fast that it’s unreal, but it does happen.
    “What other reason is there?” he adds. “Michelangelo spent a couple of years on his back with paint dropping into his eyes while some crazy pope was off fighting wars. What else was he doing it for?”.

    E per finire alla grande :

    Michael Cimino was reportedly such a perfectionist that by the fifth day of filming they were already four days behind schedule.

  7. Ken Licata says:

    Franco…. You write so well and with such a deep understanding of the process of creating commercials.
    Waiting for the perfect moment to shoot and, the fear of losing that moment
    is probably a common emotion amongst directors and cameramen, at least those who cared about such things.
    My “war” stories are old and long past, I’m sure not too many people would be interested in revisiting them.
    A giant hug to you the and most wonderful Giovanna.
    Ciao,
    Ken

  8. Franco Bellino says:

    Ken, you do write :
    My “war” stories are old and long past,
    I’m sure not too many people would be interested in revisiting them.

    Yes but, I am sure a lot clever people would be interested in revisiting them.
    So, please, do it !
    At least for one, just 1 (one) of your “war stories” !!
    Franco

  9. Franco Bellino says:

    .. era un mondo adulto,
    si sbagliava da professionisti.

    Questa di “Boogie” (Paolo Conte 1981)
    è una perfetta sintesi dei miei anni
    in General Film e poi in Agenzie varie.

  10. Qui sopra ho scritto a proposito del fatto che su un set tutti sono ugualmente importanti.
    Quel testo inizia così :

    In Pubblicità negli anni d’oro era molto di moda chiamare a Milano o a Cinecittà registi inglesi e americani. A volte spagnoli.
    Questi registi esigevano, ovviamente, il ‘loro’ direttore della fotografia. ”DOP” americano o inglese, una volta anche giapponese.
    Giunto sul set però il DOP forestiero doveva rapportarsi con una troupe
    (elettricisti, macchinisti, assistenti, aiuti) ‘de Trastevere’ o comunque non certo poliglotti.
    Ma più che problemi di lingua, c’era a monte un test di fiducia.
    Una prova che il ‘maestro’ d’oltre Manica o oltre Oceano doveva superare.
    La ‘prova’ avveniva di solito silenziosamente nella prima ora di lavoro, mentre si preparava la prima inquadratura ……

    Leggo proprio oggi su “firenzemuseistore.com” una sorprendente anticipazione
    dello stesso carognissimo saltafosso riservato ai DOP forestieri.
    La logica è identica a quella delle troupe de Trastevere, però ad inventarlo e cinicamente applicarlo più di 500 anni fa
    è uno scultore abbastanza dotato e ancor oggi conosciuto.

    Racconta Giuliano Cenci nel suo “Firenze segreta”:
    Siamo a Firenze nell’anno 1504, Michelangelo è stato autorizzato a scolpire il “David” nei Laboratori dell’Opera del Duomo.
    Ha allestito intorno al gigantesco blocco di marmo un recinto di assi e cavalletti
    così da poter lavorare al riparo da sguardi indiscreti e curiosi.
    (Visto che si parla di Direttori della Fotografia il ‘recinto’ di Michelangelo mi evoca un grande italianissimo DOP di cui ora non ricordo il nome.
    Secoli dopo Michelangelo, sul set lui costruiva piano piano attorno alla macchina da presa una “capannuccia”
    che rendeva invisibile a tutti, clienti e creativi d’agenzia in primis, il suo progetto di luci e soprattutto l’accesso alla loupe).
    Le più alte autorità della repubblica fiorentina si recano a vedere quella grande statua, alta più di 5 metri.
    Tra le autorità presenti che si complimentano con lo scultore per la bellezza di quel suo nuovo capolavoro,
    c’è anche il gonfaloniere Pier Soderini, che era anche un protettore delle arti.
    Pier Soderini, forse per farsi notare o forse per mostrare a tutti di essere un vero esperto d’arte,
    si rivolge a Michelangelo e gli dice : “Sì, d’accordo, il David è bellissimo. Personalmente però trovo
    che il naso non sia ben proporzionato di modo che se con qualche sapiente colpo di scalpello fosse fatto un poco più piccolo,
    il suo valore artistico se ne gioverebbe assai”.
    Michelangelo vorrebbe rispondere in malo modo al presuntuoso gonfaloniere, ma si trattiene
    per non creare un incidente che potrebbe guastare i suoi rapporti col governo fiorentino vista l’importanza di quel personaggio politico.
    D’altra parte non vuole neppure modificare un’opera per lui perfetta.

    Ha un lampo di genio degno di un macchinista o di un elettricista di una troupe di Cinecittà.
    Finge di acconsentire a quanto gli ha appena suggerito l’illustre personaggio e appoggia una scala a pioli alla statua.
    Prima di salire fino al naso del David però raccoglie da terra il mazzuolo con la mano destra, mentre con la sinistra prende lo scalpello.
    Nel raccogliere da terra lo scalpello, però, senza farsi notare, raccoglie anche una manciata di piccoli frammenti e polvere di marmo.

    Michelangelo quindi sale sulla scala, avvicina le mani al naso della sua statua e
    in presenza delle autorità al completo comincia a colpire lo scalpello col mazzuolo.
    In realtà finge solo di scalpellare; infatti tenendo la mano sinistra appoggiata al naso del David,
    sta ben attento che la punta dello scalpello, nascosta nella sua mano, non sfiori mai il marmo della statua.
    Per mascherare l’inganno e rendere più credibile la sua azione, mentre col mazzuolo picchia sullo scalpello,
    Michelangelo socchiude di volta in volta le dita della mano sinistra e lascia cadere
    un po’di quella polvere e dei minuscoli frammenti di marmo che ha raccolto da terra.

    Tutti sono convinti, perché lo vedono con i loro occhi, che stia veramente scalpellando il naso del David.
    Dopo alcuni minuti Michelangelo scende e si rivolge al gonfaloniere dicendo: “Ora che ve ne pare?”.
    Pier Soderini, caduto nell’inganno tesogli da Michelangelo, non si è minimamente accorto
    che il naso del David è rimasto esattamente quello di prima, è molto soddisfatto e paternamente si complimenta con il grande artista :
    “Oooh, visto che avevo ragione ? Ora sì che è perfetto : gli avete dato la vita !”.
    Lunga, lunghissima vita a Michelangelo e a tutti i componenti delle infinite troupes
    che sono stati negli anni per me veri maestri di lavoro e soprattutto di vita.

  11. Scrivevo qui sopra : Visto che si parla di Direttori della Fotografia il ‘recinto’ di Michelangelo
    mi evoca un grande italianissimo DOP di cui ora non ricordo il nome.
    Secoli dopo Michelangelo, sul set lui costruiva piano piano attorno alla macchina da presa una “capannuccia”
    che rendeva invisibile a tutti, clienti e creativi d’agenzia in primis, il suo progetto di luci e soprattutto l’accesso alla loupe).

    Pensavo al grande Massimo Pau, che però mi scrive :
    Curioso questo fatto! Ho già sentito raccontare la storia della “capannuccia”
    e di questo DOP un po’ pastore che costruiva recinti.
    Oggi sarebbe inutile con tutti i monitor che circolano sul set.

    E’ vero : il DOP delle capnnucce non è Massimo e non era nemmeno Pino Colla
    altro grandissimo, accusato di lentezza ma che mi strangolerebbe se solo osassi rivolgere a lui la srtessa domanda.
    Anche ai miei tempi erano arrivati ai monitor. Ma quando potevo, ho sempre preteso
    che il cliente, i product manager, gli account e se possibile anche i creativi d’agenzia,
    avessero sedie e monitor ad almeno 50 metri dal set.
    La regola era – avrebbe dovuto essere – che solo il producer parlava
    da una parte con regista e direttore di produzione
    e dall’altra con Agenzia e Cliente. Bei tempi !

  12. dede says:

    bravo franco ti ho ritrovato, sono felice.

  13. Pino Colla says:

    Ciao Franco,
    la “Luce a cavallo” “Luce a cavallo” è stata sempre la mia preferita, tant’è vero che da due anni
    cerco di realizzare una serie di immagini dal tema “ PRIMA DEL BUIO”
    in parte già pubblicate e recensite l’anno scorso su “GENTE DI FOTOGRAFIA”.

    Caro Franco, mi piace il tuo modo di raccontare. Mi hai fatto ricordare tanti momenti del mio vissuto.
    Ancora oggi, alcune volte dormendo, sogno le mie sempre diverse e uguali troupe,
    che consideravo “miei” elettricisti, macchinisti, attrezzisti, assistenti ecc.ecc.
    E’ così quando ami il tuo lavoro… un po’ di nostalgia.
    Con affetto, Pino

  14. Delizioso aneddoto. Una sintesi esemplare delle cose che amavo e odiavo quando la pubblicità era il mio lavoro. Amavo: la professionalità dei macchinisti, per esempio. Odiavo: la bocciatura delle idee, del finale scritto sulla lattina in questo caso. Bravo Franco, quelli come te (e come il macchinista romano) mi hanno insegnato uno dei fondamenti della vita: «La pubblicità è meglio farla che subirla.»

  15. Giorgio PCA Mameli says:

    Il bello dell’aneddoto sta tutto nell’aver portato alla luce l’incontro alla pari di due professionalità. La professionalità è così potente che riesce, senza clamori, ad annullare qualsiasi differenza inclusa quella di classe. Un vecchio falegname, così lui si definiva, mentre il mondo lo chiamava “l’ebanista degli Agnelli”,mi raccontò che Marella Agnelli passò un intero pomeriggio nella sua falegnameria appoggiata a una catasta di grezze tavole di legno mentre lui su fogli di carta stropicciata progettava un “sette giorni”. E discutevano, mi diceva il “falegname” alla pari di aperture, pomoli, cerniere e intarsi: uno spettacolo impagabile. In compenso, questo è un effetto collaterale, mi ha molto rammaricato che non sia stato girato il 30″. Per come viene descritto quello non era uno spot, ma un vero film. Cortissimo, ma film; uno di quei rari esempi in cui il cinema entra nella pubblicità, non invitato ospite. Peccato che i bonzi manager della multinazionale non abbiano colto che a una banale lattina può avere la forza romantica di un mazzo di rose. Diventando così un simbolo per un’intera generazione di adolescenti.

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